Non c’è nulla di più saggio di un cerchio
Rainer Maria Rilke
Il cerchio è uno dei modelli energetici fondamentali nel mondo naturale. I cerchi raccolgono e focalizzano l’energia. In cerchio ci si siede una di fronte all’altra, ci specchiamo negli occhi l’una dell’altra, nessuna è più in alto o più in evidenza. La rotondità del cerchio riflette la rotondità dei nostri corpi. Come i corpi i cerchi sono accoglienti, confortevoli e provocatori.
Ciclicamente le donne tornano a ritrovarsi in cerchio rispondendo ad un desiderio di comunità con altre donne, e di sperimentare la vera intimità che deriva da un impegno di sorellanza, da basi di condivisione diverse da quelle che governano il discorso sociale di tutti i giorni.
Molti cerchi di donne stanno fiorendo, in Italia e non solo, intorno ad un bisogno di approfondimento che trova fondamenta essenziali nella linea di sangue che ci unisce a tutte le donne che ci hanno preceduto, a tutte quelle che ci circondano e a tutte quelle che verranno dopo di noi: le mestruazioni.
La realtà è fatta di storie, i racconti sono una via di accesso alla verità. Quando le donne raccontano le loro storie cominciano ad ascoltar-si, sentono l’eco della propria voce nelle storie delle altre e si sente la necessità di riportarsi ad una tradizione, a qualcosa che sappia di autentico perché tramandato.
Non c’è traccia nella Storia del ritrovarsi delle donne in cerchio ma è bastato un romanzo coinvolgente ed emozionante come “La Tenda Rossa” di Anita Diamant (2005) per creare l’idea di un richiamarsi ad una tradizione originaria, di seguire un solco già tracciato di cui il potere patriarcale ha fatto sparire ogni segno. Basta però qualche incontro per vivere nella propria profondità la verità dell’esperienza e per farla diventare essenziale per il proprio vissuto. Nel suo romanzo Diamant descrive come le donne che vivevano uno stile di vita nomade e comunitario passavano nella tenda rossa i giorni del sangue e quelli del puerperio, i giorni di celebrazione del menarca e tutti quelli che avevano a che fare con la sacralità del corpo e della nascita. Il tempo è quello cruciale della soglia, del passaggio, nella vita della tribù di Giacobbe, fra un mondo che dava spazio, ammetteva e rispettava la divinità femminile a quello che ha cominciato a negarla apertamente e violentemente e, con essa, il valore della donna nel gruppo e nella relazione familiare. Il momento in cui , con la negazione della divinità con forma femminile, la donna ha cominciato la sua trasformazione sociale da persona a corpo.
Volendo individuare nella cultura o nelle tradizioni le origini di un trovarsi delle donne in cerchio, il poco che si riesce a trovare si rintraccia nei racconti degli etnografi (tutti maschi) che, venendo in contatto con popolazioni indigene, hanno visto e interpretato come esclusione un ritrovarsi delle donne fra di loro nel momento del sangue. Possiamo presumere che il cerchio del sangue fosse, un tempo, più un privilegio che una condanna, come lo descrive Diamant, ma tracce certe non ce ne sono, se non il ritornare nel tempo di una volontà e di un piacere di darsi uno spazio di ascolto di cui le più anziane possono raccontarci, che si trattasse del tempo passato a lavare i panni al fiume o dei cerchi di autocoscienza degli anni ‘70.
Ma alla fine è così importante? O forse è solo il modo di funzionare della mente umana che trova più difficile immaginare che qualcosa sia possibile se non ci sono precedenti storici. E’ vero che sapere che c’è stato un tempo in cui la vita delle donne era diversa e che la loro saggezza era tenuta in alta considerazione, rende più credibile la possibilità che quel tempo possa tornare. Avere in mente una visione chiara è la chiave della creatività, ma per ora dobbiamo accontentarci del racconto.
Molte donne sentono il bisogno di questo spazio e appena viene data loro la possibilità di raccontare, anche solo il giorno del loro primo sangue, scorrono fiumi di storie, emozioni, paure che, nella maggior parte dei casi, mai prima avevano trovato parole. L’esperienza risulta così importante che in molti cerchi si ritorna ciclicamente a raccontarsi il menarca, per avere una base condivisa, perché nessun racconto resta davvero nel cuore se non viene ascoltato almeno tre volte, perché ogni volta c’è un’atmosfera diversa, una consapevolezza diversa.
Come racconta Vicki Noble in Il Risveglio della Dea (1991), nell’antichità più antica di cui troviamo traccia, quella paleolitica, lo sciamanismo non era un fenomeno individuale ma veniva praticato dalle donne in gruppo e il potere del gruppo femminile era radicato, biologicamente, nel ciclo mestruale e nei misteri del sangue del parto. Come ogni donna che abbia vissuto con altre ha potuto sperimentare, la convivenza sincronizza il mestruo e la vita all’aperto, lo confermo per esperienza personale, sincronizza con le fasi lunari. Mi piace immaginare una comunità di donne che seguono insieme il ciclo della luna sperimentandone le diverse fasi, ascoltando i racconti di donne più anziane per le quali il sangue non è un tabù ma una straordinaria fonte di creatività, di conoscenza e di potere.
Il richiamo al corpo, alla sua bellezza - qualunque sia la sua misura, la sua forma, il suo colore, la sua età -, al sangue, alla capacità creativa femminile trova espressione visiva nello spazio sacro interno al cerchio, che caratterizza tutti i cerchi di donne con cui ho avuto contatto. Ciò che molte donne raccontano della propria esperienza nei cerchi mensili è che hanno l’impressione di entrare in uno spazio sacro, un luogo in cui raggiungere un livello più profondo di auto accettazione, un luogo dove lasciar cadere le maschere che solitamente indossiamo, un luogo sicuro dove esplorare temi che non si riesce ad affrontare altrove, godendosi, nel frattempo, la reciproca meraviglia, raggiungendo la piena consapevolezza della sacralità del corpo, come parte della creazione, che merita di essere amato e curato come manifestazione della divinità. Le funzioni corporee come le mestruazioni, la nascita e la menopausa diventano opportunità di onorare il corpo e, con esso, la divinità.
Come sostiene DeAnna L’Am, una delle prime ad avere la visione della necessità di cerchi di donne (o tende rosse, come li chiama lei) in ogni quartiere, si tratta di luoghi in cui essere e, aggiungerei, diventare; luoghi in cui si è perfette come si è, in cui non c’è niente da dimostrare, dove si ha l’opportunità di ascoltare intensamente se stesse e le altre, di avvicinarsi sempre di più al proprio vero Sé.
Ma c’è di più che è difficile da spiegare in un mondo che sembra appartenere a chi sa, a chi ha studiato, a chi propone corsi e seminari, a chi dà spiegazioni certe, ai maestri e alle maestre che hanno tutte le risposte e se le fanno pagare anche profumatamente: nel cerchio, se rispetta certi criteri essenziali, se è un vero cerchio e non una fila, si trovano la fiducia, la parola e l’azione legati alla propria esperienza. E questa verità, credo, è l’unica che realmente possiamo svelare invece che riceverne passivamente la rivelazione che, proprio in quanto tale, non svela ma ri-vela. “Sarete insegnanti le une per le altre. Vi incontrerete in cerchio e di direte la vostra verità. E’ venuto il momento che le donne accettino la loro responsabilità spirituale verso il pianeta.” Così ci richiamano Sherry Ruth Anderson e Patricia Hopkins in “The Feminine Face of God” (1991). Siamo talmente abituate a guardare fuori di noi nella ricerca di autorevolezza che la realizzazione della divinità in noi ci sembra un estremismo. E invece è venuto il momento di dare un nome al desiderio che sentiamo chiamarci, di prendere contatto, tramite il sostegno e la fiducia di altre donne, con ciò che ci fa sentire vive, con ogni altra, con tutte le nostre relazioni, per usare le parole dei nativi americani.
Come disse Hazel Scott: “Chi ha mai camminato dietro qualcun altro verso la libertà? Se non posso andare mano nella mano non voglio nemmeno partire.” Se è vero che c’è sempre qualcuna da cui parte l’idea, che sia una o un gruppetto, è importante che con il tempo venga lasciato spazio alla possibilità di leadership di ognuna; ogni incontro sarà diverso, ognuna avrà l’opportunità di sentire l’orgoglio e il peso della creazione del cerchio e tutte le altre di apprezzare la diversità e la ricchezza di tutte e di ognuna.
Spesso mi viene chiesto se ci sia una differenza fra i cerchi di donne e i gruppi di auto aiuto. In effetti la linea di confine non è sempre così netta. E’ vero che i gruppi di auto aiuto stanno emergendo sempre più come uno strumento di mantenimento del benessere sociale (e spesso anche sanitario) e come modalità di gestione del disagio a costi bassissimi e con buone percentuali di riuscita e mantenimento nel medio e lungo periodo, ma si tratta di gruppi orientati al risultato e che hanno a che fare con la personalità dell’individuo, mentre i cerchi di donne, pur potendo essere emotivamente molto intensi, tendono ad esplorare gli schemi archetipici, o anche eroici, del viaggio di vita delle persone che vi partecipano.
La tenda rossa per me, mi accorgo, è diventata la casa che all'inizio del lavoro analitico tante donne sognano e risognano di cercare, quella casa perduta cantata da Inanna, divinità sumera, Dea del Cielo e della Terra, nei poemi più antichi di cui abbiamo traccia, primo pianto per quell'esilio che ancora si manifesta in tanti modi nelle vite di ogni donna.
Per molte donne l’esclusione a priori degli uomini dal cerchio è un limite: abbiamo lottato per decenni per avere il diritto di lavorare fianco a fianco con gli uomini e ora ci auto sequestriamo in attività per sole donne! Eppure c’è sempre stato e c’è ancora il bisogno di luoghi in cui la ciclicità femminile non sia solo tollerata ma accolta. Un luogo in cui la conoscenza approfondita della natura ciclica e del sangue, quello che non proviene da una ferita, quello che per gli uomini è ancora un mistero e per molti popoli nativi uno stato di grazia da eguagliare con digiuni e ferite, sia uno strumento di rafforzamento di capacità di comprensione e sensoriali a lungo dimenticate. I cerchi di donne offrono uno spazio di scoperta e crescita di gruppo che non ha uguali nella cultura contemporanea. Difficilmente occasioni seminariali, per quanto ricche, coinvolgenti e stimolanti, possono offrire gli strumenti di rafforzamento della consapevolezza che possono provenire dalla frequentazione regolare di un cerchio. L’emozione della sorellanza nasce e fiorisce nel giro di un fine settimana di seminario o di festival , o anche di una settimana di ritiro, ma mostra le sue sfide e può diventare verità profonda nei confronti di ogni donna, anche sconosciuta (o troppo conosciuta) per chi ha la pretesa di mantenerla mese dopo mese, cominciando da sé. Non voglio dire che debba durare per sempre, che ognuna non possa prendersi pause, andare e tornare, ma che ognuna è essenziale, dal primo momento, ma nessuna indispensabile, pur mantenendo il legame verso quello che spesso finisce per essere percepito come un porto sicuro in ogni tempesta.
Molti altri sono gli elementi importanti per la nascita e il buon funzionamento di un essere vivente come è un cerchio di donne: l’ascolto profondo, il mantenimento del segreto su ciò che viene detto e fatto, il prendersi la responsabilità dei propri bisogni, la riflessione sul gruppo, l’impegno e il mantenimento dell’attenzione sul sangue e sul corpo. Se vorrete e se vorremo potremo continuare a parlarne.
Bibliografia essenziale
Anderson, Sherry – Hopkins Ruth Patricia The Feminine Face of God: The Unfolding of the Sacred in Women. Bantam: Random House, 1991.
Brinton Perera, Silvia Descent to the Goddess: A Way of Initiation for Women. Toronto: Inner City Books, 1981.
Carnes, Robin Deen – Craig Sally Sacred Circles: A Guide to Creating Your Own Women's Spirituality Group. New York: Harper Collins e-books.
Capitanucci, D. - Smaniotto R. Gruppi di Auto aiuto e lavoro sul territorio. ITACA 33/2011
Diamant, Anita La tenda rossa. Milano: Il Saggiatore, 2005.
Noble, Vicki Il risveglio della dea. Milano: TEA, 1991.
Rainer Maria Rilke
Il cerchio è uno dei modelli energetici fondamentali nel mondo naturale. I cerchi raccolgono e focalizzano l’energia. In cerchio ci si siede una di fronte all’altra, ci specchiamo negli occhi l’una dell’altra, nessuna è più in alto o più in evidenza. La rotondità del cerchio riflette la rotondità dei nostri corpi. Come i corpi i cerchi sono accoglienti, confortevoli e provocatori.
Ciclicamente le donne tornano a ritrovarsi in cerchio rispondendo ad un desiderio di comunità con altre donne, e di sperimentare la vera intimità che deriva da un impegno di sorellanza, da basi di condivisione diverse da quelle che governano il discorso sociale di tutti i giorni.
Molti cerchi di donne stanno fiorendo, in Italia e non solo, intorno ad un bisogno di approfondimento che trova fondamenta essenziali nella linea di sangue che ci unisce a tutte le donne che ci hanno preceduto, a tutte quelle che ci circondano e a tutte quelle che verranno dopo di noi: le mestruazioni.
La realtà è fatta di storie, i racconti sono una via di accesso alla verità. Quando le donne raccontano le loro storie cominciano ad ascoltar-si, sentono l’eco della propria voce nelle storie delle altre e si sente la necessità di riportarsi ad una tradizione, a qualcosa che sappia di autentico perché tramandato.
Non c’è traccia nella Storia del ritrovarsi delle donne in cerchio ma è bastato un romanzo coinvolgente ed emozionante come “La Tenda Rossa” di Anita Diamant (2005) per creare l’idea di un richiamarsi ad una tradizione originaria, di seguire un solco già tracciato di cui il potere patriarcale ha fatto sparire ogni segno. Basta però qualche incontro per vivere nella propria profondità la verità dell’esperienza e per farla diventare essenziale per il proprio vissuto. Nel suo romanzo Diamant descrive come le donne che vivevano uno stile di vita nomade e comunitario passavano nella tenda rossa i giorni del sangue e quelli del puerperio, i giorni di celebrazione del menarca e tutti quelli che avevano a che fare con la sacralità del corpo e della nascita. Il tempo è quello cruciale della soglia, del passaggio, nella vita della tribù di Giacobbe, fra un mondo che dava spazio, ammetteva e rispettava la divinità femminile a quello che ha cominciato a negarla apertamente e violentemente e, con essa, il valore della donna nel gruppo e nella relazione familiare. Il momento in cui , con la negazione della divinità con forma femminile, la donna ha cominciato la sua trasformazione sociale da persona a corpo.
Volendo individuare nella cultura o nelle tradizioni le origini di un trovarsi delle donne in cerchio, il poco che si riesce a trovare si rintraccia nei racconti degli etnografi (tutti maschi) che, venendo in contatto con popolazioni indigene, hanno visto e interpretato come esclusione un ritrovarsi delle donne fra di loro nel momento del sangue. Possiamo presumere che il cerchio del sangue fosse, un tempo, più un privilegio che una condanna, come lo descrive Diamant, ma tracce certe non ce ne sono, se non il ritornare nel tempo di una volontà e di un piacere di darsi uno spazio di ascolto di cui le più anziane possono raccontarci, che si trattasse del tempo passato a lavare i panni al fiume o dei cerchi di autocoscienza degli anni ‘70.
Ma alla fine è così importante? O forse è solo il modo di funzionare della mente umana che trova più difficile immaginare che qualcosa sia possibile se non ci sono precedenti storici. E’ vero che sapere che c’è stato un tempo in cui la vita delle donne era diversa e che la loro saggezza era tenuta in alta considerazione, rende più credibile la possibilità che quel tempo possa tornare. Avere in mente una visione chiara è la chiave della creatività, ma per ora dobbiamo accontentarci del racconto.
Molte donne sentono il bisogno di questo spazio e appena viene data loro la possibilità di raccontare, anche solo il giorno del loro primo sangue, scorrono fiumi di storie, emozioni, paure che, nella maggior parte dei casi, mai prima avevano trovato parole. L’esperienza risulta così importante che in molti cerchi si ritorna ciclicamente a raccontarsi il menarca, per avere una base condivisa, perché nessun racconto resta davvero nel cuore se non viene ascoltato almeno tre volte, perché ogni volta c’è un’atmosfera diversa, una consapevolezza diversa.
Come racconta Vicki Noble in Il Risveglio della Dea (1991), nell’antichità più antica di cui troviamo traccia, quella paleolitica, lo sciamanismo non era un fenomeno individuale ma veniva praticato dalle donne in gruppo e il potere del gruppo femminile era radicato, biologicamente, nel ciclo mestruale e nei misteri del sangue del parto. Come ogni donna che abbia vissuto con altre ha potuto sperimentare, la convivenza sincronizza il mestruo e la vita all’aperto, lo confermo per esperienza personale, sincronizza con le fasi lunari. Mi piace immaginare una comunità di donne che seguono insieme il ciclo della luna sperimentandone le diverse fasi, ascoltando i racconti di donne più anziane per le quali il sangue non è un tabù ma una straordinaria fonte di creatività, di conoscenza e di potere.
Il richiamo al corpo, alla sua bellezza - qualunque sia la sua misura, la sua forma, il suo colore, la sua età -, al sangue, alla capacità creativa femminile trova espressione visiva nello spazio sacro interno al cerchio, che caratterizza tutti i cerchi di donne con cui ho avuto contatto. Ciò che molte donne raccontano della propria esperienza nei cerchi mensili è che hanno l’impressione di entrare in uno spazio sacro, un luogo in cui raggiungere un livello più profondo di auto accettazione, un luogo dove lasciar cadere le maschere che solitamente indossiamo, un luogo sicuro dove esplorare temi che non si riesce ad affrontare altrove, godendosi, nel frattempo, la reciproca meraviglia, raggiungendo la piena consapevolezza della sacralità del corpo, come parte della creazione, che merita di essere amato e curato come manifestazione della divinità. Le funzioni corporee come le mestruazioni, la nascita e la menopausa diventano opportunità di onorare il corpo e, con esso, la divinità.
Come sostiene DeAnna L’Am, una delle prime ad avere la visione della necessità di cerchi di donne (o tende rosse, come li chiama lei) in ogni quartiere, si tratta di luoghi in cui essere e, aggiungerei, diventare; luoghi in cui si è perfette come si è, in cui non c’è niente da dimostrare, dove si ha l’opportunità di ascoltare intensamente se stesse e le altre, di avvicinarsi sempre di più al proprio vero Sé.
Ma c’è di più che è difficile da spiegare in un mondo che sembra appartenere a chi sa, a chi ha studiato, a chi propone corsi e seminari, a chi dà spiegazioni certe, ai maestri e alle maestre che hanno tutte le risposte e se le fanno pagare anche profumatamente: nel cerchio, se rispetta certi criteri essenziali, se è un vero cerchio e non una fila, si trovano la fiducia, la parola e l’azione legati alla propria esperienza. E questa verità, credo, è l’unica che realmente possiamo svelare invece che riceverne passivamente la rivelazione che, proprio in quanto tale, non svela ma ri-vela. “Sarete insegnanti le une per le altre. Vi incontrerete in cerchio e di direte la vostra verità. E’ venuto il momento che le donne accettino la loro responsabilità spirituale verso il pianeta.” Così ci richiamano Sherry Ruth Anderson e Patricia Hopkins in “The Feminine Face of God” (1991). Siamo talmente abituate a guardare fuori di noi nella ricerca di autorevolezza che la realizzazione della divinità in noi ci sembra un estremismo. E invece è venuto il momento di dare un nome al desiderio che sentiamo chiamarci, di prendere contatto, tramite il sostegno e la fiducia di altre donne, con ciò che ci fa sentire vive, con ogni altra, con tutte le nostre relazioni, per usare le parole dei nativi americani.
Come disse Hazel Scott: “Chi ha mai camminato dietro qualcun altro verso la libertà? Se non posso andare mano nella mano non voglio nemmeno partire.” Se è vero che c’è sempre qualcuna da cui parte l’idea, che sia una o un gruppetto, è importante che con il tempo venga lasciato spazio alla possibilità di leadership di ognuna; ogni incontro sarà diverso, ognuna avrà l’opportunità di sentire l’orgoglio e il peso della creazione del cerchio e tutte le altre di apprezzare la diversità e la ricchezza di tutte e di ognuna.
Spesso mi viene chiesto se ci sia una differenza fra i cerchi di donne e i gruppi di auto aiuto. In effetti la linea di confine non è sempre così netta. E’ vero che i gruppi di auto aiuto stanno emergendo sempre più come uno strumento di mantenimento del benessere sociale (e spesso anche sanitario) e come modalità di gestione del disagio a costi bassissimi e con buone percentuali di riuscita e mantenimento nel medio e lungo periodo, ma si tratta di gruppi orientati al risultato e che hanno a che fare con la personalità dell’individuo, mentre i cerchi di donne, pur potendo essere emotivamente molto intensi, tendono ad esplorare gli schemi archetipici, o anche eroici, del viaggio di vita delle persone che vi partecipano.
La tenda rossa per me, mi accorgo, è diventata la casa che all'inizio del lavoro analitico tante donne sognano e risognano di cercare, quella casa perduta cantata da Inanna, divinità sumera, Dea del Cielo e della Terra, nei poemi più antichi di cui abbiamo traccia, primo pianto per quell'esilio che ancora si manifesta in tanti modi nelle vite di ogni donna.
Per molte donne l’esclusione a priori degli uomini dal cerchio è un limite: abbiamo lottato per decenni per avere il diritto di lavorare fianco a fianco con gli uomini e ora ci auto sequestriamo in attività per sole donne! Eppure c’è sempre stato e c’è ancora il bisogno di luoghi in cui la ciclicità femminile non sia solo tollerata ma accolta. Un luogo in cui la conoscenza approfondita della natura ciclica e del sangue, quello che non proviene da una ferita, quello che per gli uomini è ancora un mistero e per molti popoli nativi uno stato di grazia da eguagliare con digiuni e ferite, sia uno strumento di rafforzamento di capacità di comprensione e sensoriali a lungo dimenticate. I cerchi di donne offrono uno spazio di scoperta e crescita di gruppo che non ha uguali nella cultura contemporanea. Difficilmente occasioni seminariali, per quanto ricche, coinvolgenti e stimolanti, possono offrire gli strumenti di rafforzamento della consapevolezza che possono provenire dalla frequentazione regolare di un cerchio. L’emozione della sorellanza nasce e fiorisce nel giro di un fine settimana di seminario o di festival , o anche di una settimana di ritiro, ma mostra le sue sfide e può diventare verità profonda nei confronti di ogni donna, anche sconosciuta (o troppo conosciuta) per chi ha la pretesa di mantenerla mese dopo mese, cominciando da sé. Non voglio dire che debba durare per sempre, che ognuna non possa prendersi pause, andare e tornare, ma che ognuna è essenziale, dal primo momento, ma nessuna indispensabile, pur mantenendo il legame verso quello che spesso finisce per essere percepito come un porto sicuro in ogni tempesta.
Molti altri sono gli elementi importanti per la nascita e il buon funzionamento di un essere vivente come è un cerchio di donne: l’ascolto profondo, il mantenimento del segreto su ciò che viene detto e fatto, il prendersi la responsabilità dei propri bisogni, la riflessione sul gruppo, l’impegno e il mantenimento dell’attenzione sul sangue e sul corpo. Se vorrete e se vorremo potremo continuare a parlarne.
Bibliografia essenziale
Anderson, Sherry – Hopkins Ruth Patricia The Feminine Face of God: The Unfolding of the Sacred in Women. Bantam: Random House, 1991.
Brinton Perera, Silvia Descent to the Goddess: A Way of Initiation for Women. Toronto: Inner City Books, 1981.
Carnes, Robin Deen – Craig Sally Sacred Circles: A Guide to Creating Your Own Women's Spirituality Group. New York: Harper Collins e-books.
Capitanucci, D. - Smaniotto R. Gruppi di Auto aiuto e lavoro sul territorio. ITACA 33/2011
Diamant, Anita La tenda rossa. Milano: Il Saggiatore, 2005.
Noble, Vicki Il risveglio della dea. Milano: TEA, 1991.