Pubblichiamo il contenuto dell'introduzione al primo incontro del ciclo Vulva Libre a Incisa presso Casa Petrarca del 19 febbraio 2017 alle ore 20:30.
Il tempo, la sua misurazione, il situarsi degli umani nel suo scorrere sono sempre stati strumenti di contatto con gli aspetti sacri dell’esistenza, dove per sacro intendo legato al mistero dell’esistenza e per mistero intendo ciò che non si può descrivere a parole.
Quello che propongo per l’incontro di stasera è un viaggio nel tempo e nello spazio del nostro pianeta che ci porterà a vedere come qualcosa di antico e originario unisce i popoli della Terra: gli strumenti utilizzati per la misurazione del tempo e il contatto con il mistero che ci possono aiutare, oggi, per trovar risposte a domande esistenziali, oppure per conoscere meglio noi stesse, ciò che di vero ed autentico c’è in noi, il nostro vero desiderio. Mi scuserete se su alcuni aspetti sarò un po’ semplicistica ma è solo per motivi di sintesi. Il primo strumento di misurazione del tempo conosciuto è un pezzo di osso con delle tacche che serviva per contare i giorni delle gravidanze e vi sono precisati i passaggi lunari. Il tempo sembra quindi essere sempre stato legato alla sacralità della vita e al corpo femminile. Tutte, credo, portiamo dentro una scintilla sacra che trova espressione più o meno esplicita nel nostro corpo (i cui ritmi e cicli sono legati alla Luna e alle stagioni), nel nostro modo di fare e di essere, e che determina il nostro senso di pienezza, soddisfazione e felicità. A questa si aggiungono gli archetipi che abbiano deciso di fare nostri, con cui, più o meno consciamente, scegliamo di modellare la nostra vita e le nostre relazioni. Gli archetipi sono forme-pensiero che si sono cristallizzate nel corso del tempo perché l’umanità per lungo tempo le ha condivise con tratti comuni, sono figure potenti che possono cambiare molto del nostro modo di guardare a noi stesse e a tutte le nostre relazioni. L’approccio alla conoscenza di sé femminile tramite gli archetipi è molto efficace per vari motivi. Innanzitutto, le dee hanno delle caratteristiche ben precise che portano chiarezza nel lavoro introspettivo, oltre a non comportare collegamenti emotivi che potrebbero attivarsi in riferimento all’esperienza nostra o di altre.
Utilizzare le ruote dell’anno, delle lune, la Ruota di Medicina dei Nativi Americani, di questo parleremo stasera, ci aiuta ad entrare in contatto con gli archetipi dentro di noi, a capire quali vorremmo che ci fossero e da quali vorremmo allontanarci, a conoscere i nostri desideri e a cambiare ciò che ci fa stare scomode. Danzare sulle Lune della Ruota di Medicina è un modo anche di restituire alla Creazione l’energia che costantemente riceviamo: la Terra ci dà una superficie su cui camminare, il Sole ci scalda, la Luna ci regala sogni, la Terra ci dà un luogo per crescere il nostro cibo e gli elementi per costruire ripari e strumenti, l’Acqua ci tiene in vita, il Fuoco ci scalda e ci dona il sacro respiro della vita, ogni parte della Ruota di medicina ci dona continuamente qualcosa; percorrendola possiamo imparare come restituire. Seguire la Ruota dell’Anno e delle Lune è un modo per mantenere un contatto cosciente e consapevole del corpo, della mente e dell’anima con il fluire delle stagioni.
Se è vero che il caso non esiste, ci sforziamo di trovare il senso e l’insegnamento in tutto ciò che ci succede, e non utilizziamo una meraviglia come le stagioni e le fasi lunari, che evidentemente sono legate a ritmi e cicli del nostro corpo, per armonizzare il nostro modo di stare sul pianeta nel suo viaggio fra le stelle?
Metteremo qui a confronto uno strumento, la Ruota di Medicina dei Nativi Americani, che viene da una tradizione orale mantenuta nei secoli lontana dall’Europa, e le Ruote dell’Anno e delle Lune europee, recuperate e ricostruite sulla base delle tradizioni scritte e orali arrivate fino a noi dal buio dei secoli. Il territorio a cui mi riferisco è molto vado, un’area che va dalla penisola iberica a tutto il Nord Africa, al vicino Oriente fino alla Siberia e al Nord della Cina. Sono i territori in cui ha lasciato tracce una cultura che va dal Neolitico fino a tempi storici che qualche studiosa (una per tutte Marija Gimbutas) da anni ha raccolto, elementi che permettono di considerarla unitaria e che a me piace pensare tale. Popoli nomadi la percorrevano, caratterizzati da libertà di movimento, ricchezza ed elevate capacità tecnologiche, organizzazione egualitaria, orgoglio di clan, posizione elevata delle donne in ambito sociale che religioso, culto prevalente di una divinità femminile. Sono popoli i cui segni ricorrenti si trovano incisi sulle pietre di tutte le valli Alpine d’Europa e c’è chi dice che gli ultimi di loro, rifugiatosi sulle montagne al dilagare dell’urbanizzazione, abbracciarono la lotta armata pur di mantenere il proprio stile di vita libero, finendo sterminati perché bollati come eretici. Importanti rappresentanti dei Nativi Americani, in visita in Italia, hanno riconosciuto quei segni come fatti dai propri antenati, vi hanno riconosciuto un’origine comune e a quell’origine voglio qui ispirarmi.
I motivi decorativi ricorrenti individuati da Gimbutas rimandano continuamente nei secoli e nei millenni a divinità femminili. Ai motivi e alle decorazioni che riproducevano principalmente forme animali fin da subito polimorfiche, si aggiungono poi rappresentazioni delle divinità che uniscono insieme elementi animali e umani. L’ammirazione per gli animali viene ricondotta dagli antropologi al tentativo di creare con essi un legame profondo che permettesse di carpirne la conoscenza e le capacità. Le loro immagini si ritrovano su ossa e pietre che qui popoli nomadi trasportavano con sé (e con il tempo anche tatuate sulla pelle) nelle migrazioni fin dai tempi più remoti. Il racconto di un tempo originario in cui esseri umani, animali, pietre e piante fossero in grado di comunicare è comune a molti miti della creazione e si ritrova tutt’ora nelle favole come strumento di risoluzione delle difficoltà dell’eroina.
Tutto ciò procede con incredibili regolarità per millenni fino al diffondersi culturale e, soprattutto, politico (tramite l’impero romano), dell’ellenismo, nell’ambito del quale le divinità si moltiplicano, cominciano ad essere rappresentate anche in figura completamente umana (pur potendosi ancora trasformare a piacimento), soggiogano gli animali (che trainano carri, portano in volo, in viaggi sottomarini, ecc.) e incarnano più esplicitamente la molteplicità degli archetipi che sono arrivati fino a noi e ancora influenzano il nostro modo di guardare e di guardarci. Unica eccezione Medusa, che con i suoi aspidi resta a ricordare la sconfitta Dea Oscura, per chi ha il coraggio di guardarla negli occhi senza paura.
Quelle divinità (e i relativi archetipi) sono profondamente diverse dalle precedenti: sono mosse dai migliori (e più spesso peggiori) moti dell’animo umano, vengono utilizzate come strumento di dominio e riflettono quindi i rapporti di potere del dilagante patriarcato. La prevalenza culturale, sociale e politica dei maschi (padri, fratelli, mariti) sulle femmine (madri, sorelle, mogli) con il diffondersi dell’Impero Romano, diventa sempre più opprimente e trova esplicita descrizione in leggi scritte imposte con la spada. Chiarisco subito che non penso che ci sia stata una “colpa” dei maschi nell’oppressione delle femmine. Penso che ci sia stata la collaborazione al processo di donne che vedevano nell’aumento del potere di alcuni (i propri familiari) su altri un positivo miglioramento per il gruppo nel suo complesso e hanno considerato la perdita di libertà propria e delle proprie figlie un prezzo accettabile (che l’Italia sia stata la culla del processo è provato, credo, dall’ancora diffuso familismo amorale che ci contraddistingue). Questo passaggio, che ha messo donne (e popoli) le une contro le altre è durato più o meno esplicitamente almeno fino all’inizio del 1900 quando l’invenzione del Natale in famiglia ha definitivamente cancellato ogni ricordo di ciò che erano le feste nei millenni precedenti relegandole al folklore. Se si vuol credere alla memoria dell’acqua, la ferita è ancora nelle cellule di ognuna e ognuno di noi che nel tempo è stat* sicuramente traditrice o tradita, vittima o carnefice, e il ricordo e l’onore della memoria è anche guarigione, donna dopo donna.
Per recuperare il senso sano, anche archetipico, delle antiche divinità, è necessario un lavoro di ricerca personale e collettivo che ancora ha tanta strada da fare. Esempi mirabili si leggono nei racconti tradizionali riportati in Donne che Corrono coi Lupi di Dr. Clarissa Pinkola Estes, nel racconto della storia di Kore/Persefone fatta da Starhawk, oltre a molte altre, ma trovare parole e storie allo stesso tempo nuove e originarie è la sfida delle madri di oggi, fisiologiche o meno che siano. Ecco quindi il senso di questo lavoro: trovare canali personali e profondi di contatto con quegli archetipi che sono gli stessi da quando c’è memoria, per andare oltre il racconto che ci è arrivato, farli diventare esperienza quotidiana, conoscenza tattile e organica, catalogo elementale. Non è una cosa di una sera, ovviamente, ma cominciamo e vediamo cosa succede.
Il tempo, la sua misurazione, il situarsi degli umani nel suo scorrere sono sempre stati strumenti di contatto con gli aspetti sacri dell’esistenza, dove per sacro intendo legato al mistero dell’esistenza e per mistero intendo ciò che non si può descrivere a parole.
Quello che propongo per l’incontro di stasera è un viaggio nel tempo e nello spazio del nostro pianeta che ci porterà a vedere come qualcosa di antico e originario unisce i popoli della Terra: gli strumenti utilizzati per la misurazione del tempo e il contatto con il mistero che ci possono aiutare, oggi, per trovar risposte a domande esistenziali, oppure per conoscere meglio noi stesse, ciò che di vero ed autentico c’è in noi, il nostro vero desiderio. Mi scuserete se su alcuni aspetti sarò un po’ semplicistica ma è solo per motivi di sintesi. Il primo strumento di misurazione del tempo conosciuto è un pezzo di osso con delle tacche che serviva per contare i giorni delle gravidanze e vi sono precisati i passaggi lunari. Il tempo sembra quindi essere sempre stato legato alla sacralità della vita e al corpo femminile. Tutte, credo, portiamo dentro una scintilla sacra che trova espressione più o meno esplicita nel nostro corpo (i cui ritmi e cicli sono legati alla Luna e alle stagioni), nel nostro modo di fare e di essere, e che determina il nostro senso di pienezza, soddisfazione e felicità. A questa si aggiungono gli archetipi che abbiano deciso di fare nostri, con cui, più o meno consciamente, scegliamo di modellare la nostra vita e le nostre relazioni. Gli archetipi sono forme-pensiero che si sono cristallizzate nel corso del tempo perché l’umanità per lungo tempo le ha condivise con tratti comuni, sono figure potenti che possono cambiare molto del nostro modo di guardare a noi stesse e a tutte le nostre relazioni. L’approccio alla conoscenza di sé femminile tramite gli archetipi è molto efficace per vari motivi. Innanzitutto, le dee hanno delle caratteristiche ben precise che portano chiarezza nel lavoro introspettivo, oltre a non comportare collegamenti emotivi che potrebbero attivarsi in riferimento all’esperienza nostra o di altre.
Utilizzare le ruote dell’anno, delle lune, la Ruota di Medicina dei Nativi Americani, di questo parleremo stasera, ci aiuta ad entrare in contatto con gli archetipi dentro di noi, a capire quali vorremmo che ci fossero e da quali vorremmo allontanarci, a conoscere i nostri desideri e a cambiare ciò che ci fa stare scomode. Danzare sulle Lune della Ruota di Medicina è un modo anche di restituire alla Creazione l’energia che costantemente riceviamo: la Terra ci dà una superficie su cui camminare, il Sole ci scalda, la Luna ci regala sogni, la Terra ci dà un luogo per crescere il nostro cibo e gli elementi per costruire ripari e strumenti, l’Acqua ci tiene in vita, il Fuoco ci scalda e ci dona il sacro respiro della vita, ogni parte della Ruota di medicina ci dona continuamente qualcosa; percorrendola possiamo imparare come restituire. Seguire la Ruota dell’Anno e delle Lune è un modo per mantenere un contatto cosciente e consapevole del corpo, della mente e dell’anima con il fluire delle stagioni.
Se è vero che il caso non esiste, ci sforziamo di trovare il senso e l’insegnamento in tutto ciò che ci succede, e non utilizziamo una meraviglia come le stagioni e le fasi lunari, che evidentemente sono legate a ritmi e cicli del nostro corpo, per armonizzare il nostro modo di stare sul pianeta nel suo viaggio fra le stelle?
Metteremo qui a confronto uno strumento, la Ruota di Medicina dei Nativi Americani, che viene da una tradizione orale mantenuta nei secoli lontana dall’Europa, e le Ruote dell’Anno e delle Lune europee, recuperate e ricostruite sulla base delle tradizioni scritte e orali arrivate fino a noi dal buio dei secoli. Il territorio a cui mi riferisco è molto vado, un’area che va dalla penisola iberica a tutto il Nord Africa, al vicino Oriente fino alla Siberia e al Nord della Cina. Sono i territori in cui ha lasciato tracce una cultura che va dal Neolitico fino a tempi storici che qualche studiosa (una per tutte Marija Gimbutas) da anni ha raccolto, elementi che permettono di considerarla unitaria e che a me piace pensare tale. Popoli nomadi la percorrevano, caratterizzati da libertà di movimento, ricchezza ed elevate capacità tecnologiche, organizzazione egualitaria, orgoglio di clan, posizione elevata delle donne in ambito sociale che religioso, culto prevalente di una divinità femminile. Sono popoli i cui segni ricorrenti si trovano incisi sulle pietre di tutte le valli Alpine d’Europa e c’è chi dice che gli ultimi di loro, rifugiatosi sulle montagne al dilagare dell’urbanizzazione, abbracciarono la lotta armata pur di mantenere il proprio stile di vita libero, finendo sterminati perché bollati come eretici. Importanti rappresentanti dei Nativi Americani, in visita in Italia, hanno riconosciuto quei segni come fatti dai propri antenati, vi hanno riconosciuto un’origine comune e a quell’origine voglio qui ispirarmi.
I motivi decorativi ricorrenti individuati da Gimbutas rimandano continuamente nei secoli e nei millenni a divinità femminili. Ai motivi e alle decorazioni che riproducevano principalmente forme animali fin da subito polimorfiche, si aggiungono poi rappresentazioni delle divinità che uniscono insieme elementi animali e umani. L’ammirazione per gli animali viene ricondotta dagli antropologi al tentativo di creare con essi un legame profondo che permettesse di carpirne la conoscenza e le capacità. Le loro immagini si ritrovano su ossa e pietre che qui popoli nomadi trasportavano con sé (e con il tempo anche tatuate sulla pelle) nelle migrazioni fin dai tempi più remoti. Il racconto di un tempo originario in cui esseri umani, animali, pietre e piante fossero in grado di comunicare è comune a molti miti della creazione e si ritrova tutt’ora nelle favole come strumento di risoluzione delle difficoltà dell’eroina.
Tutto ciò procede con incredibili regolarità per millenni fino al diffondersi culturale e, soprattutto, politico (tramite l’impero romano), dell’ellenismo, nell’ambito del quale le divinità si moltiplicano, cominciano ad essere rappresentate anche in figura completamente umana (pur potendosi ancora trasformare a piacimento), soggiogano gli animali (che trainano carri, portano in volo, in viaggi sottomarini, ecc.) e incarnano più esplicitamente la molteplicità degli archetipi che sono arrivati fino a noi e ancora influenzano il nostro modo di guardare e di guardarci. Unica eccezione Medusa, che con i suoi aspidi resta a ricordare la sconfitta Dea Oscura, per chi ha il coraggio di guardarla negli occhi senza paura.
Quelle divinità (e i relativi archetipi) sono profondamente diverse dalle precedenti: sono mosse dai migliori (e più spesso peggiori) moti dell’animo umano, vengono utilizzate come strumento di dominio e riflettono quindi i rapporti di potere del dilagante patriarcato. La prevalenza culturale, sociale e politica dei maschi (padri, fratelli, mariti) sulle femmine (madri, sorelle, mogli) con il diffondersi dell’Impero Romano, diventa sempre più opprimente e trova esplicita descrizione in leggi scritte imposte con la spada. Chiarisco subito che non penso che ci sia stata una “colpa” dei maschi nell’oppressione delle femmine. Penso che ci sia stata la collaborazione al processo di donne che vedevano nell’aumento del potere di alcuni (i propri familiari) su altri un positivo miglioramento per il gruppo nel suo complesso e hanno considerato la perdita di libertà propria e delle proprie figlie un prezzo accettabile (che l’Italia sia stata la culla del processo è provato, credo, dall’ancora diffuso familismo amorale che ci contraddistingue). Questo passaggio, che ha messo donne (e popoli) le une contro le altre è durato più o meno esplicitamente almeno fino all’inizio del 1900 quando l’invenzione del Natale in famiglia ha definitivamente cancellato ogni ricordo di ciò che erano le feste nei millenni precedenti relegandole al folklore. Se si vuol credere alla memoria dell’acqua, la ferita è ancora nelle cellule di ognuna e ognuno di noi che nel tempo è stat* sicuramente traditrice o tradita, vittima o carnefice, e il ricordo e l’onore della memoria è anche guarigione, donna dopo donna.
Per recuperare il senso sano, anche archetipico, delle antiche divinità, è necessario un lavoro di ricerca personale e collettivo che ancora ha tanta strada da fare. Esempi mirabili si leggono nei racconti tradizionali riportati in Donne che Corrono coi Lupi di Dr. Clarissa Pinkola Estes, nel racconto della storia di Kore/Persefone fatta da Starhawk, oltre a molte altre, ma trovare parole e storie allo stesso tempo nuove e originarie è la sfida delle madri di oggi, fisiologiche o meno che siano. Ecco quindi il senso di questo lavoro: trovare canali personali e profondi di contatto con quegli archetipi che sono gli stessi da quando c’è memoria, per andare oltre il racconto che ci è arrivato, farli diventare esperienza quotidiana, conoscenza tattile e organica, catalogo elementale. Non è una cosa di una sera, ovviamente, ma cominciamo e vediamo cosa succede.